Parentesi quadra
Sera calda d’aprile, verso le dieci. Il cancello sbatte dietro di me. Attraverso la piazza silenziosa. Luci amiche del buio. Cammino lentamente, con calma e con le mani in tasca. Buio tiepido lungo le pareti delle narici. Un ragazzo con i capelli lunghi, dall’aria trasandata, passa senza guardare. Un gatto fa le fusa ad un’inferriata. I suoni risuonano e il silenzio mi fa le fusa. Imbocco la via. Il tipo del cinema Missouri appiccica le locandine con lo scotch. L’insegna del bar è come un fuoco d’artificio e il bar è chiuso. Infilo la banconota nella fessura e, bzzzz, viene risucchiata da una dolce zanzara elettrica. Segue un denso tonfo metallico e un’armonia di monete: il suono confidenzialmente metropolitano di un distributore automatico dell’ultima generazione. Mentre scarto il pacchetto osservo il profilo di un vaso di fiori, incollato al rettangolo incandescente di una finestra. Riprendo il cammino verso casa. Passa uno scooter e apre una ferita nel silenzio che si cicatrizza istantaneamente. Chiave del portone nella serratura del cancello, poi quella giusta. Poi l’abbraccio fresco del vialetto d’ingresso, bagnato dalla luce dei lampioni. Chiave del cancello nella serratura del portone, poi quella giusta. A pochi metri di distanza i tacchi di una donna tormentano un marciapiede e gli fanno il solletico.
Aparazzi è partecipazione e se non hai nulla da dire tanto vale parlare del nulla.
5 commenti:
C'è un non so chè di Kerouac in ciò che hai scritto.
Accavallando le gambe indolente, con nonchalance, ti rispondo: sì, c'è un po' di jack, un po' di hernest, ma soprattutto apa... soprattutto apa... (e guardo nel vuoto)
Lol, solo Ergo potrà apprezzare questa tua inconsapevole citazione di uno dei miei momenti più belli.
Davvero?
Me too.
Me
Too...
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