giovedì, marzo 18, 2010

Senza titolo





Ci sto mettendo un po' per capire come va la nuova vita, e non si può dire che ci stia riuscendo.
Faccio alcuni chilometri ogni giorno attraversando il cavalcavia dell'amore, un luogo lungo e buio al ritorno, popolato di gioventù sporca e rumorosa al mattino. La gente di sesso maschile si profuma un sacco, ma in realtà quello che risulta non è profumo, è odore di troppo. Pian piano ho iniziato ad accumulare e schedare i soliti noti. Il vecchio con il cane a piedi, il vecchio con il cane in bicicletta, la libreria con i libri di Geronimo Stilton in vetrina a offerte super stracciate. Il vecchio che urla lungo i binari del tram. Una volta ho scoperto che stava urlando contro di me ma non ho ancora capito il perché. Io stavo ascoltando i Pavement e lui mi stava dando della "maleducata". Ma non poteva sentire che stavo ascoltando i Pavement. Colleziono piccole scoperte ogni tragitto in più, l'altra sera ho scoperto che in un parchetto c'è un circolo di vecchi che giocano a bocce. Uno è arrivato salutando gli altri con un "Buona sera, brava gente", mentre un altro urlava a se stesso più che agli altri che era "troppo corta". Questa cosa mi ha fatto tornare alla mente una giornata fantastica che ricordo come una delle più belle. Ovviamente ero sola, a Nizza, di passaggio, mentre mi facevo i chilometri per arrivare al museo Chagall, una giornata di luglio calda e piena di segnali che avrei dovuto riconoscere. Segnali dal futuro. C'aveva ragione Benjamin. Invece io mi ostino a cercare i segnali del passato. Il primo giorno in cui ho tentato la strada alternativa al tram che puzza di piscio sentivo che al posto del vialone che dovevo raggiungere avrei trovato il Reno, che scorreva quattordici piani più sotto quando ero a Bonn, lento e grigio e popolato di lunghe barche che si chiamavano Revolution e Carpe diem e trasportavano carbone e macchine. Anche io ero lenta e grigia e quando camminavo sentivo i rumori delle foglie che nella mia mente mi parlavano e mi dicevano cose che non voglio ricordare. Forse dovrei fare come Canetti. Canetti per me era un tipo pesante, ma questo prima che lo leggessi. Era uno di quelli inavvicinabili, solo il titolo "Auto da fé" mi faceva venire sonno. Poi l'ho letto. E ho cambiato idea. E ora la mattina nel tram che puzza di piscio mi tengo tra le mani un altro suo libro che ha sfatato un secondo mito canettiano: "La lingua salvata". Io in questa lingua avevo sempre visto la Sprache, la lingua o linguaggio, e mi sembrava ovvio per un ebreo-spagnolo nato in Bulgaria, naturalizzato tedesco e poi girovago per vocazione, educazione e storia. E non mi aveva mai sfiorato l'idea di leggere una palla sulla lingua perduta e salvata. E invece no, Canetti non è mica uno stronzo. La prima pagina ha fatto cadere il plaid di ignoranza e pregiudizio che mi porto dietro con amore. Lui intende proprio la lingua, la Zunge, la lingua che batte dove il dente duole. Ciò mi suggerisce che le cose forse potrebbero essere più semplici del previsto, se solo non ci fossero più parole per la stessa cosa, anzi più cose per la stessa parola.
Proposito della primavera: dimenticare qualche parola, ma bisbigliare di meno.
Vai così, Elias.

2 commenti:

Montag ha detto...

E i merli? Che fine hanno fatto i merli?

hazey ha detto...

Li hai fatti volare via, i merli.