Due giorni fa, in un Autogrill, un colpo è partito dalla pistola di un agente della Polizia Stradale, uccidendo un tifoso della Lazio di 26 anni.
Ieri gli ultrà di Roma e Lazio si sono coalizzati (evento mai accaduto prima) e hanno attaccato Polizia, Carabinieri e sede del CONI improvvisando una specie di rivolta urbana. Quelli dell’Atalanta, senza sapere neppure cosa fosse successo esattamente il giorno prima, hanno sfasciato transenne, lanciato fumogeni e oggetti in campo e sono riusciti con la forza a far sospendere la partita. A Milano si è radunata una folla inferocita davanti a San Siro: i giornalisti accorsi per fare domande ai tifosi sono stati massacrati di botte.
Insomma, gli ultrà di tutta Italia sono uniti contro le forze dell’ordine, e hanno iniziato una guerriglia che probabilmente si protrarrà per settimane. Più o meno esplicitamente, sostengono di essere vittime di soprusi da parte degli agenti, di essere oggetto di violenza e persecuzione.
Ma sono convinto che questo sia soltanto un pretesto per combattere. Gli ultrà sono feccia, non sono interessati allo sport, hanno passioni e ideologie di facciata che coprono il loro vero proposito: amano formare un esercito, avere un nemico e fare la guerra. Agli ultrà non importa costruire qualcosa, si eccitano a distruggere, scardinare e bruciare sedie e, nei giorni fortunati, colpire teste e far saltare denti. Adesso si possono nascondere dietro una questione di principio, sbandierare la causa di un ragazzo morto, ed è sintomatico che perfino l’odio storico tra Lazio e Roma venga accantonato quando c’è una buona scusa per divertirsi tutti insieme a fare un macello.
In giro ci sono molti ragazzi che amano combattere. Alcuni si gonfiano i muscoli in palestra sperando che un giorno, al pub o in discoteca, arrivi il momento buono per poterli usare. Da ragazzino, quando bazzicavo per le discoteche, ho visto un sacco di risse scoppiate per ragioni insulse e ispirate, sotto sotto, da un unico proposito: provare il brivido della guerra, di avere un nemico e vedere scorrere il suo sangue, di dimostrare il proprio valore sul campo di battaglia.
Chi vuole fare la guerra ha diverse soluzioni a disposizione. Ci sono i cani sciolti che fanno pesi o arti marziali e attendono la rissa al varco. Quelli che entrano a far parte di gruppi combattenti di estrema sinistra o estrema destra. Quelli che si infiltrano proprio nell’esercito o nelle forze di polizia, con lo svantaggio, però, di dover sottostare alla legge (ma le soddisfazioni che può dare una missione di pace all'estero o una retata di clandestini senza nome è impagabile). Credo però che sia lo stadio, e il tragitto da e verso lo stadio, l’ideale per i guerrieri: le possibilità di scontro si moltiplicano e diminuiscono quelle di essere identificati. Le regole, i principi, i valori condivisi dal gruppo sono minimi e c’è largo spazio per il combattimento spontaneo, libero, felice. E poi lo fai soltanto la domenica, e nel resto della settimana puoi essere un ottimo padre, amico o professionista.