A day in the life
Accade, così, un giorno come gli altri. Capisci qual è il colore che non va con gli altri, quella espressione che non riesci a decifrare, e le strade si muovono, ma tu non ci sei. E ripenso a lui, quello scrittore così impressionante che mi sta venendo a noia, non può azzeccarle tutte e ancora una, mi verrebbe di mandarlo al diavolo.
E i discorsi campati in aria, le parole che non vengono fuori, e potrebbe bastare il cielo azzurro che spunta all’improvviso e ti dici che va bene, per oggi sei fortunato. Eppure non c’è niente di male in quelle gocce di pioggia che scivolano sottili, e tutto quello che non riesci a dire. Mi ha sempre irritato l’espressione “male di vivere”. Mi dà di una blabla-cappa che voglia coprire una pianta malata, togliendole aria e soprattutto luce. Però anche nel cielo milanese d’inverno possono apparire le nuvolette rosa, e la luna mi ha guardato sottile e tranquilla. Il fatto che anche qui il cielo possa aprirsi all’improvviso e mostrare il suo volto più mite mi tranquillizza.
Quando mi volto non so che vedo, e so che tornare non vorrà dir nulla. Tornare è un po’ lasciare. Si lascia sempre qualcosa.
Prima di dormire lascio la porta della mia stanza socchiusa, una prova di coraggio. L’armadio no, lo chiudo sempre. La cenere mi cade da tutte le parti e i fiori sulla mia tovaglia stanno sbiadendo. Probabilmente loro pensano lo stesso di me. I colori più forti sono dove non poggio mai lo sguardo.
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