lunedì, agosto 10, 2009

Solitudini




L'italiano ha uno strano rapporto con la solitudine.
Li vedi.
Nelle auto, tutti al cellulare.
Dieci minuti di tragitto netto, il silenzio deve essere insopportabile, lasciare entrare il mondo dentro di sè, improponibile. E allora via a blaterare al telefono, ridendo e scherzando mentre si schivano auto, bestemmia, suona il clacson e ci si guarda nello specchietto.

Stessa cosa sui treni, 50 minuti tra Brescia e Milano, ci trovi di sicuro chi appena sale è già al cellulare e parla di qualsiasi cazzata possa passargli per la testa. Così scopri che Giulio ha la diarrea, e lo scopri alle 8 e 17. E tu Giulio non sai nemmeno chi sia, ma visto che le parole evocano immagini, alle 8 e 18 lo stai immaginando sul cesso, contorto e in preda a spasmi, con quel culotto peloso e un poco sformato che di sicuro Giulio ha.

E ti spieghi il successo di Facebook, con gente che aggiorna tre volte al giorno il proprio "status", nell'ansia di dire al mondo che c'è, che anche quando volti la testa continua ad esistere, che il tempo scorre anche per lei, alla ricerca di una comunicazione qualsiasi, un riscontro, anche fosse solo il simbolico messaggio nella bottiglia, lasciato alle onde, unilaterale, affidato alle nebbie di un destinatario sconosciuto, un'orma lasciata su una vita lontana. L'importante non è il messaggio, l'importante è il segno, il comunicare stesso, l'atto violento di un'imposizione leggera e indiscriminata.

Siamo un popolo sociale e rumoroso, ci siamo abituati, il nostro corpo riverbera del rumore nostro e dell'altrui. Il Giappone per me sarà doloroso.

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