Il risveglio non fu dei più felici. Attorno a me solo vuoto e silenzio, nella mente i ricordi dei compagni di mille battaglie ormai caduti. Difficile non sentirsi sopraffatti dall'avanzare del tempo, arduo come non mai mascherare la propria fragilità. Eppure ho resistito con tutte le mie forze, ho lottato per non tradire le speranze di colui che mi aveva visto nascere. Marco per me era più di un padre. Marco era un amico, un mentore, un amante. Non posso negarlo, siamo finiti a letto insieme per oltre due anni. Spesso non eravamo soli, a noi si univa una donna insipida che lui insistentemente continuava ad etichettare con il termine "moglie". Nell'intimità la signora si sollazzava accarezzandomi languidamente, incurante dei segni d'insofferenza del marito. Lui non voleva che mi toccasse, ero soltanto suo. Tutto ciò alimentava prepotentemente il mio ego, e come un'ambigua geisha al cospetto di un padrone dall'alto tasso di testosterone, io mi piegavo dolcemente ai suoi desideri. Nulla faceva presagire quanto sarebbe avvenuto da lì a poco.
Erano le otto del mattino e fuori soffiava il vento gelido di fine ottobre. Marco si svegliò di soprassalto a causa del rumore delle imposte che sbattevano l'una contro l'altra. Posati i piedi sul nudo pavimento, si avvicinò lentamente alla specchiera ed io lo seguì come sempre. Il volto riflesso era quello di un uomo stanco, reduce da una notte costellata da incubi ed oniriche illusioni. Le occhiaie, bluastre ed evidenti, erano degna cornice per gli occhi gonfi che, tuttavia, brillavano di una luce nuova. Impossibile decifrare completamente il segreto di quello sguardo, pazzia, malvagità, forse senso di rivalsa si mischiavano in un cocktail dal sapore amaro. L'unica certezza fu quella frase pronunciata seccamente: "ora basta".
L'uomo s'incamminò verso il bagno con passo spedito, il cuore iniziò a pulsare sempre più velocemente, quasi freneticamente, il respiro si fece affannoso. Arrivato nel locale, aprì il cassetto di un mobile, ed esercitò talmente tanta forza che lo scardinò. Frugava Marco, frugava alla ricerca spasmodica di un oggetto, le sue braccia erano tese e le vene ormai evidenti sottopelle. Il volto paonazzo si contrasse in una smorfia di disgusto, una rabbiosa bestemmia echeggiò nell'aria. Non l'avevo mai visto in queste condizioni prima d'ora, era irriconoscibile, più fiera crudele che persona. Avevo paura, neanche un alito di vento avrebbe potuto smuovermi. In un impeto d'ira gettò il cassetto a terra e si sposto verso la cucina. La moglie, risvegliata dal frastuono infernale, raggiunse il marito. Credo volesse calmarlo, chiedere spiegazioni, ma le mie sono solo supposizioni. Purtroppo la donna non ebbe tempo di proferire parola, il coniuge si scagliò su di lei stagliandole un sonoro ceffone. Federica perse l'equilibrio e cadde sbattendo la testa. Non ho avuto modo di sincerarmi se fosse solo tramortita o ormai cadavere. Quello che so è che Marco s'inginocchiò ai suoi piedi e fissò il braccio sinistro di lei con attenzione. Nella caduta la mano restò stranamente alzata con il dito indice sollevato ad indicare la cesta da cucito dimenticata in salotto. Un sorriso inquietante solcò il volto dell'uomo, ora sapeva dove cercare. Corse verso la scatola color paglia e afferrò il tanto agognato oggetto del desiderio. Con passo deciso si diresse nuovamente davanti alla specchiera e respirò profondamente. Osservò la mia immagine riflessa ed io, allo stesso tempo, guardai lui. I nostri sguardi s'incrociarono per un istante e le nostre anime si scissero. Tutto era chiaro. Il silenzio fu interrotto dalle lame lucenti che sferzavano l'aria, sempre più veloci, sempre più vicine, senza compassione alcuna. Sentivo ormai prossimo il passaggio della forbice brandita da Marco, avrei voluto gridare, implorare pietà, scappare ma non avevo voce e radici profonde impedivano di compiere anche un solo movimento. La mano destra dell'uomo mi afferrò stringendo con forza e la sinistra affondò le lame in acciaio nel mio esile corpo. Ormai morente mi piegai in due e in pochi secondi precipitai a terra, conscio che sarebbe stato il mio ultimo viaggio. Il mio carnefice, nel frattempo, esclamava soddisfatto: “ora hai finito di ricordarmi che tutti gli altri mi hanno abbandonato! E prima che te ne andassi anche tu ho preferito eliminarti”. Poi risuonò una risata raccapricciante e tutto fu avvolto dall'oscurità.
Come ho già detto, il risveglio fu piuttosto traumatico. Certi incubi sembrano reali e quello appena vissuto mi aveva quasi tolto il respiro. Guardo la sveglia con datario sul comodino, il display indica il 1 novembre. Maledetto Halloween! Pensai con tutte le mie forze. La sera prima Marco aveva voluto onorare la festa delle streghe gustandosi uno di quei filmetti horror pieno zeppo di sangue, morti e pazzoidi. Io naturalmente non potevo evitare di partecipare all'anteprima di cotanto capolavoro ed ecco il risultato. Forse sono troppo sensibile, decreto sospirando e spostando lo sguardo alla destra della sveglia. Un sorriso finalmente cancella i brutti pensieri rasserenandomi all'istante. "Che sciocco, avrei dovuto capirlo subito che era soltanto un incubo.. Marco non è solo. E nemmeno io lo sono. Fratelli miei, non di sangue ma pur sempre fratelli, come ho fatto a dimenticarvi?" Le care figure stanno strette strette l'una accanto all'altra, proprio come in un ritratto di famiglia degli anni '20. "Peccato solo che d'ora in avanti dovrò rinunciare al sano e robusto “petting” quotidiano.. del resto non potrebbe essere altrimenti, sarò sommerso da tutto quel pelo!". Una smorfia di rammarico si disegna sul mio volto e, dopo un'ultima fugace occhiata al parrucchino castano, mi riaddormento profondamente sul cuscino.
E' difficile essere l'ultimo capello rimasto sulla testa di un uomo ormai calvo...
.. ed è difficile soprattutto ad Halloween.
----------
Ignazio 2006.