lunedì, giugno 08, 2009

Sulle ali della fantasia

Adesso vi racconto degli ultimi tempi.

Prima di tutto devo dirvi che gli ultimi due anni sono stati una corsa contro il tempo e il tempo è al secondo giro della pista mentre io allo sparo mi sono accorto che entrambe le scarpe ce le avevo slacciate e ho giusto finito di sistemare la prima ora.

Wooosh i miei capelli fiondano in avanti e l'avversario mi ripettina con il terzo lap.

Io principalmente sono famoso per le mie idee geniali e ancora più famoso per il fatto di non averne mai concretizzata alcuna. Si tratta in verità di una malattia, un singhiozzo inarrestabile. Appena ne sputo una eccone un’altra e un’altra ancora.

Ora senza entrare nei dettagli esemplifico alcune delle mie fantasie e dirò solo di quelle che mi vengono in mente sul momento.

Ho inventato il rullino digitale, un affare che trasforma senza grandi spese tutte le onorevoli Hasselblad, Mamiya, Leica e ogni costosa apparecchiatura di eccellenza ottica in una moderna, pratica scatoletta a pixel.

Ho inventato un puntatore rivoluzionario che sostituirà il mouse, ma non ve lo spiego perché preferisco vederlo l’anno prossimo e dire “ah, quello che volevo fare io”.

Ho inventato un sistema che permette a chiunque di fare da DJ per chi lo circonda in un ambiente fisico (come il treno ad esempio) e di creare un'isola musicale che si riflette sulla rete sotto forma d’informazione (luogo geografico, trend musicale, numero di partecipanti, vacci subito, etc.).

A parte queste invenzioni già piuttosto dignitose ho in mente molti progetti da non realizzare.

Un sito internet che fa brainstorming da solo sparando verso l’utente ricordi sotto forma di testi, musica e video, con la particolarità di non poter essere controllato completamente dall’utente e spesso solo in maniera indiretta (un po’ come il pachinko) oppure con restrizioni a seconda dell’ora del giorno, il sito va in pausa pranzo o mostra certi contenuti solo un dato giorno. L’idea non è nuova, ma poco sviluppata quindi varebbe proprio la pena di perdere anche questa occasione.

Alcuni amici fortunati conoscono il mio impegno in campo cinematografico perché coinvolti direttamente.

Il primo lavoro è un’indagine sincera e commovente sulla natura umana, un’opera con la quale voglio gridare a tutti il mio amore antropocentrico e la mia mancanza di empatia. Ci sono tre domande a cui rispondere:

1. Cosa vuoi dire?
2. Cosa vuoi sapere?
3. A cosa vuoi giocare?


E’ presto chiaro che rispondendo correttamente alle tre domande capirai non solo dove ti sono saltate le otturazioni ma anche come liberarti del peso di una vita che non ti appartiene.

Ricordi Mai Dire Banzai? Ecco, rispondi alle domande e puoi precipitarti a testa sicura contro tutte le porte che saranno d’ora in poi di carta velina. Tutte le pietre sul torrente risponderanno ai tuoi piedi senza sprofondare ai balzi e in men che non sperassi avrai superato e lasciato alle spalle tutte le brutte copie di te stesso.

Cosa ne è stato di questo documento-verità? Il documento galleggia come quel fungo che vi avevano assicurato portare la buona sorte e invece,sempre più lesso e grasso, si spande come sudore informe nel vaso della nonna. A sentir bene della nonna comincia ad avere anche l’odore.

Ecco la mia scusa, mi mancano due interviste: quella a me e quella appunto alla nonna. Senza non si può.

Ma le mie delusioni nel cinema non finiscono qui, infatti ho costretto i miei amichetti a adoperarsi alla messa in forma di un secondo progetto robinson crusoe, nome in codice “Mumblecore”.

Eccitato dalle nuove tendenze in quest’arte, dal realismo del fai da te di un tale Bujalski ho detto perché non noi? Perché non anche noi? Perché anche non noi? E alcune altre varianti della domanda per poi decidermi e proporre ai migliori questa grande idea.

Ebbene l’idea era di generare la trama a partire da un insieme di scene inventate a mano libera, senza un accordo comune. Immaginando un numero sufficiente di queste scene di vita reale e surreale presto il ragnetto sinaptico delle associazioni mentali avrebbe sputato la sua tela collegando le immagini a riprodurre quell’intreccio naturale, logico e caotico di cui brilla solo la umana quotidianità.

Alla riga venti la creaturina è stata mollata sola sul campo, l’agnellino neonato espulso sul prato ancora sporco di mamma e le gambette tremolanti. Troppo triste per vivere, troppo deluso per morire.

Fallimenti prima ancora di cominciare. Famoso per partorire idee morenti sono un padre col vizio dell’aborto.
L’unica soluzione che mi è stata offerta a questo problema dell’accidia è la responsabilità esterna.
In poche parole se il lavoro non è per me riesco a finirlo.

Il fatto è dimostrato in un caso anomalo. La mia ragazza doveva dare un esame in quello che i francesi chiamano Arti Plastiche. Nulla a che vedere con la materia, è un modo francese per parlare di arte concettuale, avete presente quelle performance insopportabili dove ragazze yoga si muovono lentissime e si accovacciano dentro a camini sporcandosi il vestito bianco o con rose in bocca si stendono a terra per farsi prendere a secchiate di sangue? Quello è il concetto.

La mia idea geniale a questo turno era di operare l’inversione dei piccoli fastidi quotidiani. Non volevo citarlo in questo articolo (la sua figura in questo giornale è già abbastanza imponente), ma devo dire che mi fa pensare ad Apa e alle sue storie da treno regionale, alle sue suore, ai suoi italiani, ai suoi schiamazzi e alla sua cronica irritazione senza rimedi sintomatici.

A Parigi in metropolitana abbiamo molti attori-mendicanti. Sono più che mendicanti perché sentono il dovere di giustificare la loro occupazione recitando elaborate storie dove si disegnano protagonisti e malcapitate vittime falciate dalla società mietitrebbia, eppure sottolineano: col viso sempre proteso al sole della redenzione. Questo mi ricorda l’esempio originale di una senzatetto che ho visto spesso a Roma in Piazzale Argentina. La donna, una specie di big mama haitiana, ebbe la trovata di piantarsi in mezzo alla strada con un ammiccante cartello che dichiarava: “Sono povera ma felice”.

La cosa incuriosisce e come tutto ciò che è grottesco scuote il mio albero interpretativo generando molti rami.
Se sono felice ti farà piacere darmi dei soldi, non li hai dati a quello sgorbio senza gambe e con la faccia bruciata perché si lagnava bofonchiando e la buttava giù troppo troppo dura.
Questa donna ha capito che la gente non ama trovarsi di fronte alla depressione zozza di un disperato, la società contemporanea è accostumata a ignorare il dolore, vero o finto che sia. L’unico modo per attirarne l'attenzione è uscire dallo schema con un qualcosa di sagace e fuori dal comune, allora si verrà premiati.

E tuttavia il suo messaggio è ambiguo, se già è felice allora forse non vuole alcuna elemosina, la sua figura di grande madre lì in mezzo a Piazzale Argentina dev’essere un monumento alla gioia semplice e senza malizia di un luogo e un tempo lontani.

Ad essere sincero l’ultimo pensiero che mi passa per la testa allontanandomi è “nice try, but no cigar”.


Tornando a molla sul tema dell’opera: l’inversione consisteva nel presentare al pubblico un nuovo tipo di mendicante.
Nel vagone entra una ragazzina bionda, elegante, innocente. Non ha niente del mendicante (nota però che i mendicanti parigini normalmente vestono meglio di me e di te, quindi questo particolare è trascurabile).

La ragazzina si porta in mezzo al vagone e inizia la solita cantilena “buongiorno signore e signori, mi chiamo Pippi e ho ventiquattro anni, lo so che siamo in tanti a disturbarvi ogni giorno in metropolitana...” e qua la gente sbuffa, si mette il paraorecchi, alza il volume, si volta dall’altra parte, stacca il respiratore, frusta il puledro e si canta un canto yodel nella testa mentre galoppa lontano verso un canyon azzurro.

Nessuno. Nessuno vuole sentire l’ultima edizione della storia del questuante sfortunato.
Però il discorso non finisce al solito modo.
“...quindi oggi sono qui per ringraziarvi della vostra pazienza e vi prego di accettare un aiuto da parte mia”, la ragazzina apre la borsetta e passando tra i passeggeri offre a tutti del denaro.

Cosa succede secondo voi?

Quando ho fatto questa bella pensata me lo sono domandato.
La risposta l’ho avuta perché questo è quel caso anomalo. Ho portato a termine un progetto, spinto solo dal senso di responsabilità verso qualcuno.
Visto che della risposta non vi frega comunque niente me la tengo per me e passo invece alla prossima idea da non realizzare.

Qualche settimana fa, era un giorno di pioggia, ho preso l’autobus per vedere com’era.
C’era tanta gente quindi ho fatto una fermata e sono sceso a trenta metri da casa.
Mi sono trovato davanti a un negozio di giocattoli e sono entrato. Quando sono uscito avevo sotto braccio uno scatolone del Lego.

Eran più di vent’anni che non mi compravo un giocattolo, se escludiamo il tentativo fallito di vincere un Tango alla festa dell’Unità di Brescia, la manina robotica del piglia-piglia mollò il pallone quando già era arrivata al buco di consegna, ho dei testimoni.

Quel giorno a Brescia ho strappato la mia tessera del sindacato, invece quell'altro giorno, quello di pioggia, sono tornato a casa e sotto braccio avevo una scatola gialla e sopra alla scatola gialla c’era raffigurato un bellissimo aereo a elica: giallo, nero, rosso e bianco.

Ero un bambino felice.
Ho detto “adesso lo monto il più in fretta possibile”.
Ci ho messo quarantuno minuti.


Mi sono ricordato di aver visto un filmato su internet dove un tale ricompone un cubo di rubik in sette secondi e poi lo fa persino da bendato.
Poi ce n’è uno che fa un castello di bicchierini in un battibaleno, ti stai versando l’aranciata e zac la tovaglia è tutta bagnata e di fronte a te c’è Gigi che sorride da dietro a un castello di bicchierini. I supereroi di oggi sono giocherelloni.

Ecco, io mi sono detto che anche io voglio avere un superpotere e il mio superpotere sarà di saper montare quell’aeroplano in tre minuti. E tra un anno, quando mi sarò allenato abbastanza mi vedrete su youtube, con una benda sugli occhi mentre cubetto dopo cubetto compenso la mia mancanza di virilità.

Vorrei evidenziare quanto segue:

1. Ho scritto questo post solo per convincere il Paglia a restare in Italia, per fargli capire che è importante restare e lavorare sodo per mandare avanti questo blog. Che prenda esempio dal Razzi.

2. Anche se ero molto tentato dall’immagine del mio bel aeroplano mi sono negato a quel brutto vizio di inserire una foto coadiuvante come fossimo in un libro per bambini, l’ho fatto solo come sfottò e non credo riuscirò a resistere la prossima volta.

3. Sono riuscito a non nominare Berlusconi... ah cazzo

6 commenti:

Apa ha detto...

Innanzitutto sei un bugiardo, perche' il progetto reversed questuante non e' tuo ma di Ljuba.

In secondo luogo, mi hai convinto.
Non parto.

hazey ha detto...

yeeeeee

Thesp ha detto...

Innanzitutto ti posso confermare che il progetto del questuante l'ho ideato, filmato e montato. Non so se questo basti per dire che ho qualche merito in relazione.

In secondo luogo HURRRRAAAAAH!

Apa ha detto...

Innanzitutto mi hai convinto anche su questo. E' un tuo figlio quel progetto.


In secondo luogo pero' avendomi convinto due volte cambio posizione, parto. Ma non ora :)

Ergonomico ha detto...

Il tuo ego, Thesp, non ha bisogno di essere nutrito o incoraggiato ulteriormente. Non posso tuttavia fare a meno di lodare questo tuo post come uno dei migliori da un po' di tempo a questa parte. Ne apprezzo sopratutto la forma che rispecchia il contenuto. Dà la sensazione, questo tuo post, di essere incompleto, di non sapere esattamente dove sta andando, diventando cosi uno specchio di quei progetti mai completati di cui parla.

hazey ha detto...

io invece vorrei sapere cosa succede e come va a finire la storia del questuante.