Mi si è rotto il braccialetto.
Me lo aveva regalato mia madre, un anno fa, al ritorno dalla Colombia.
La mente mi scivola lungo questi mesi, lungo questo anno.
Un anno fa.
Ero teso, nervoso, depresso.
Impazzivo per la separazione da una ragazza che pochi mesi prima mi dovevo sforzare di stimare anche solo per qualche aspetto, ragazza che, preso dalla mia smania di paternità universale, volevo costringere a capire la natura dei propri sbagli, che volevo far maturare in qualche modo.
Il mio lavoro mi sembrava una scatola chiusa e soffocante.
La mia vita una pallina impazzita, mi facevo spupazzare da vicine di casa, dalle reticenze di bulimiche frustrate, dalla mia necessità di controllo, di affetto, di stima e amicizia.
E ora sono qui.
Questa ragazza l'ho incontrata alcuni giorni fa e lo squallido vuoto del mio passato mi ha lasciato perplesso. Nemmeno il minimo di attrazione, nemmeno l'istinto dell'affetto, o un briciolo di imbarazzo o dolore, per una persona che in teoria ha condiviso due anni della mia vita. L'ho persino trovata, spiace dirlo, un poco repellente.
Ora ho una ragazza dolce, matta, bella e pigra che ha un cervello onesto e brillante. Mi ha ricordato ciò che da almeno tre, quattro anni avevo dimenticato, o almeno mi ha fatto capire che esiste davvero quella cosa che non ti fa pensare di stare accontentandoti, che "tanto va bene così", che si fa buon viso a cattivo gioco. E non è quella cosa da primo mese, non è quella cosa che ti dici, quella cosa che LE dici. Non lo è, perchè a parte ora, non lo dico affatto. Neppure a lei. Ma credo lo sappia.
Il mio lavoro? A gonfie vele. Mi spacco il culo, certo. Ma per quanto fosse ottimo e particolare il mio capo prima, è una sensazione ben diversa non avere nessuno sopra di te nell'ufficio, tranquillità, imbellimento, controllo.
La casa è mia. E' di sicuro ancora un mezzo casino, ma è mia e la plasmo lentamente, come più mi aggarda (cit.).
I miei amici li porto con me ovunque siano, e lo sanno.
Sento di avere un placido controllo sulla mia vita.
Felice non lo sono, quelli come me non sono propriamente fatti per esserlo mai.
I miei casini, le mie preoccupazioni ci sono sempre, e ci saranno sempre.
Ma la soddisfazione, e quel sorriso stronzo che mi stampa in faccia quando mi fermo un attimo, quelli, per ora, non me li leva nessuno. So chi sono.
Il braccialetto, anche se rotto, lo tengo.