Guardarsi il dito
Sono qui, febbricitante, disidratato, assonnato e stanco.
Ho i brividi e gli occhi mi pulsano e dolgono nelle orbite, come se fossero aggeggi vecchi, stanchi. Arrugginiti.
Sono qui.
Per terra, in sala. Sono lei sei del mattino. Il sonno e' un lontano ricordo, mi pare di rammentarne un'eco, verso le tre, poi si e' persa pure quella, assieme alle mie viscere e alla mia salute.
Sono qui, per terra, in sala. Che organizzo il lavoro per la giornata, che sposto riunioni, che do indicazioni ai colleghi perche' tutto funzioni, mentre le mani, le dita, premono un po' incerte sui tasti.
I muscoli si contraggono per i brividi.
Poi guardo in alto, fuori dalla finestra, la grande finestra, l'enorme finestra che sovrasta la mia sala.
E vedo il cielo.
E vedo la luna, nonostante sia giorno.
Mi pervade un banale senso di piccolezza.
Seguito da una consolatoria consapevolezza di assenza di significato.
L'idea del tempo, dello spazio e di qualcosa di insignificante sono come un rilascio di endorfine.
Infatti vorrei dire qualcosa, per fissare questa rivelazione, questo concetto, ben conscio che altrimenti si perdera' nella memoria e ne rimarra' solo un'impronta. Falsata.
Probabilmente la mia realizzazione e' solo che dovrei rotolare nel letto.
2 commenti:
Ti pare la luna invece è un'aspirina gigante.
Povero puccettone, quanto ti fanno faticare pure con la febbra.
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