Sull'isola
Evviva, questo sabato sera lo dedico al lavoro. Ultimamente sono ridotto ad aspettare con ansia il fine settimana per sbrigare gli arretrati. Non vedo l'ora che sia sabato per poter lavorare in pace...
Per fortuna c'è della musica a farmi compagnia. E mi torna in mente quando ero piccolo... nel senso di giovane, ragazzino... e mi piaceva la musica ma non conoscevo nessuno che me la insegnasse.
Allora quando marinavo la scuola, se proprio non c'era qualcuno con cui giocare a biliardo, andavo in biblioteca e sfogliavo i volumi dell'Enciclopedia del Rock con pedanteria da orologiaio, trascrivendo i titoli dei dischi da ordinare poi per posta. La musica mi piaceva e avevo velleità da grande esperto (soprattutto la seconda insinua a volte Apa, soprattutto la prima mi ostino a credere io).
La fonte di titoli e sapienza musicale che preferivo, però, era Il Mucchio Selvaggio. Ai tempi era mensile, devo averne ancora qualche copia. Uno dei concetti più amati dai comunisti secchioni che scrivevano sull'adorabile Mucchio Selvaggio era quello dei “Dischi che ti porteresti su un'isola deserta”. Tra i musicologi accaniti serpeggia spesso questo morbo dell'esclusione, della delimitazione, della discriminazione per livelli di bellezza.
Io, ci mancherebbe, sono ormai superiore a queste cose. E non resisto alla tentazione di proclamare i dischi che mi porterei sull'isola deserta:
Kind of Blue, Miles Davis.
Doolittle, Pixies.
Astral Weeks, Van Morrison.
.....
E' un piacere ingenuo quello di INCIDERE sopra un foglio di carta, che poi butti via, il nome di qualche disco che ti ha riempito di meraviglia. Ti fa sentire in sintonia con tutti gli sconosciuti che come te lo conoscono e amano in modo speciale.
La verità, naturalmente, è che ognuno ha orecchie diverse, da solo sulla sua isola. Ma c'è un'illusione di fratellanza nella solitudine di chi ascolta la musica. Specialmente se lavora di sabato sera.