Il mio tempo, come le mie attuali capacita` linguistiche e le capacita` tecnologiche di questo paese, e` ridotto. Ma, dopo quasi un mese di assenza dai giochi, con un`insipida introduzione dal trentesimo parallelo dell`emisfero australe riappaio.
Il cielo di Durban la sera e` porpora.
Osservo i colori a me sconosciuti e cerco di farli miei. Cerco di dare una ragione a questi colori, di renderli parte del mio pane quotidiano, di non restare scolpita come una statua di fronte alle luci arancioni del porto, quelle variopinte al neon del centro citta` e al bianco delle onde dell`oceano, distanti ma visibili ad occhio attento. L`inverno si sta trascinando con giornate di sole amaro, quel sole che ti scalda ma non fino in fondo. Quel sole che ti permette di mostrare le gambe, di arrossirti le guancie, di osare un bagno nell`oceano, ma che, a tarda sera, ti lascia con i brividi nella schiena.
Il sangue di Durban e` la musica. Scorre veloce, incessante ed extremly loud nelle articolate vie della citta`, nei negozi, nei minibus, nelle macchine, nelle case, nelle stanze, nelle classi. Il ritmo della musica house sudafricana scandisce ogni ora della giornata come una campana in un paesino di montagna. Basta soltanto annuire al suo ritmo ed accogliere questa benedizione a capo chino.
Le scimmie a Durban hanno degli appariscenti testicoli di un azzurro acceso. Giocano nel cortile dello studentato. Quando passo, camminando a fianco del recinto di ferro con filo spinato, mi osservano curiose. Io faccio dei rumori per attrarre la loro attenzione. Come vorrei tirare la coda a qualcuna di loro. Ed appropriarmi indebitamente di un cucciolo di scimmia per crescerlo come un figlio e poi piangere la sua morte, mentre appendo il suo mantello lucido al mio attaccapanni di ebano.